Impara dai migliori: Stephen King e i suoi consigli agli aspiranti scrittori

“Sistemate la vostra scrivania nell’angolo e tutte le volte che vi sedete lì a scrivere, ricordate a voi stessi perché non è al centro della stanza. La vita non è un supporto per l’arte. È il contrario”.

(S. King, On Writing, Sperling&Kupfer, Milano, 2001, p. 95)

 

Cosa c’è di più libidinoso per un aspirante scrittore che scoprire che uno degli autori più venduti al mondo ha dedicato un libro al racconto della sua vita e del suo rapporto con la scrittura? Ebbene sì, Stephen King pubblicò nel 1997 il suo famoso saggio intitolato On Writing, una miniera d’oro di riflessioni sull’arte dello scrivere accompagnata al racconto della sua infanzia, adolescenza ed età matura.

 

In questo articolo vogliamo raccontarti quali sono secondo noi i punti salienti del libro di King, quelli che potrebbero aiutarti, caro scrittore, in caso di difficoltà.

 

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1. Come si accende il motore della creatività

Partendo dal racconto della sua prima infanzia, King si prende molto spazio per raccontare quali sono stati i suoi primi approcci alla scrittura e da dove sia scaturita l’esigenza irrefrenabile di scrivere e raccontare.

Il motore principale della creatività di Stephen King si è acceso per combattere una terribile solitudine, quando durante le elementari si ammalò ripetutamente e perdette anche un anno di scuola a causa delle troppe assenze.

In quell’interminabile susseguirsi di giornate sempre uguali, King era un bambino di 6 anni a casa da solo tutto il giorno, per cui non faceva altro che divorare libri, fumetti e film.

Fu proprio dal tentativo di riscrivere uno dei suoi fumetti preferiti che King scrisse la sua prima storia.

 

Possiamo quindi dire che l’imitazione, per King, abbia preceduto la creazione.

 

E questa è la prima grande lezione che ci viene data: leggere è importantissimo per uno scrittore emergente! Tirar fuori una storia, saperla orchestrare al meglio, creare dei personaggi credibili e saper mantenere un ritmo narrativo capace di stregare i lettori non è impresa da poco, ma leggendo molto si instaura un processo di imitazione inconscio, si entra in una sorta di disposizione mentale favorevole alla creazione.

2. Se vuoi davvero diventare uno scrittore, lo diventerai

Qui King tocca un nervo scoperto di molti scrittori emergenti: la lotta contro i lavori di ripiego, quelli che si fanno nell’attesa che il proprio libro spopoli e che alla fine finiscono per ingabbiarti per sempre.

 

Ma per King il mestiere dello scrittore ti si appiccica addosso: non è un hobby come un altro.

Certo, dopo innumerevoli rifiuti e lavori improvvisati per arrivare a fine mese può capitare a chiunque di sentire la voglia di mollare tutto, ma se davvero il fuoco della scrittura ti arde dentro, tornerà ad accalolarti prima o poi. È nel tuo dna.

 

“[La difficoltà] maggiore era che, per la prima volta, scrivere era dura. Il problema era l’insegnamento. Mi piacevano i colleghi e mi piacevano i ragazzi [...], ma quando arrivava il pomeriggio del venerdì, di solito mi sentivo come se avessi passato la settimana con le pinze di due cavi per batterie infilate nel cervello. Se mai fui vicino a disperare del mio futuro di scrittore, fu in quel momento”.

 

On Writing, p. 65

 

Data la sua innegabile capacità di tratteggiare scene di memorabile violenza e tristezza insieme, ecco il ritratto che King fece di se stesso, in quel preciso momento storico della sua vita:

 

“Mi vedevo di lì a trent’anni, con le stesse brutte giacche di tweed con le toppe ai gomiti e la pancetta da birra sporgente oltre la cintura. Avrei sofferto di tosse cronica per per i troppi pacchetti di Pall Mall, avrei portato occhiali con lenti più spesse, avrei avuto più forfora, e nel cassetto della scrivania avrei avuto sei o sette manoscritti incompiuti, da tirare fuori  e con cui gingillarmi di tanto in tanto, di solito da sbronzo. [...] Naturalmente avrei mentito a me stesso, dicendomi che c’era ancora tempo, che non era troppo tardi, che c’erano romanzieri che non cominciavano prima dei cinquanta, anzi, che diamine, dei sessanta”.

 

On Writing, p. 65

  

Il resto è storia, perché sappiamo tutti com’è andata a finire: Stephen King non ha mollato, e per questo è diventato il più celebre autore di bestseller con più di ottanta libri pubblicati, la maggior parte dei quali sono stati l’ispirazione per i più famosi film dell’orrore a memoria d’uomo.

3. A volte il vero potenziale di una storia sta dove meno te lo aspetti

Negli anni in cui il successo ancora non si riusciva a intravvedere nemmeno da lontano, King lavorò come  bidello alla Brunswick High School. Un giorno, mentre si dedicava alla pulizia del bagno delle ragazze, gli balenò nella mente la storia di Carrie, protagonista del suo primo vero romanzo di successo.

In quel periodo, King era solito scrivere più che altro racconti, perché quelli riusciva a venderli a qualche rivista, mentre di pubblicare romanzi non se ne parlava neppure.

Perciò scrisse Carrie, il racconto.

Nella sua biografia King scrive che non riusciva proprio a farsi piacere la protagonista, che quella vicenda gli era quasi estranea, che tutto sommato cosa poteva saperne lui delle peripezie e dei turbamenti di una giovane adolescente?

Più ci pensava e più il manoscritto gli sembrava fuori focus, un buco nell’acqua. Così lo gettò via. Ma una volta tornato a casa fu sua moglie che, raccolti i fogli dal cestino, lo implorò di continuare la scrittura, illuminandolo con le parole: “questa l’hai centrata, lo dico sul serio”.

Nella storia, non è inusuale trovare esempi di grandi menti divenute illustri e leggendarie per una loro particolare opera o abilità che però, per loro, non era nulla di così grandioso o impressionante. Qualche esempio? Beh, basti a Leonardo da Vinci, che in realtà voleva essere un ingegnere militare oppure a Italo Calvino, la cui più grande aspirazione era sempre stata quella di scrivere un denso e crudo romanzo verista e che invece trovò la gloria letteraria con romanzi di quasi-fantascienza come il ciclo de I nostri antenati o Le cosmicomiche.

Qual è la morale, quindi? Possiamo riassumerla in 3 punti:

a. il lettore è la tua bussola: attraverso le sue reazioni puoi capire molto sulle tue capacità di scrittore e sui  tuoi punti di forza o di debolezza.

b. non ti attaccare idealisticamente a un genere letterario, uno stile di scrittura o una tematica particolare: il tuo talento può emergere dove meno te lo aspetti. Piuttosto, utilizza la scrittura come pratica di sperimentazione, giocaci, prova tutte le vie finché non riuscirai ad imboccare quella che ti porterà al successo.

c. ogni volta che scrivi qualcosa, falla leggere a più persone possibili. Fai tesoro dei loro commenti e delle loro reazioni e aggiusta il tiro di volta in volta. E su questo punto citiamo ancora una volta le parole di King “L’impressione che uno scrittore ha di un personaggio può essere fallace come quella del lettore.” (On Writing, p. 70).

4. La scrittura è un’arte a cui si è predestinati

Quest’ultimo punto è forse quello più duro da digerire quando si legge per la prima volta il saggio di King. L’autore si prende infatti molto spazio per mettere ben in chiaro che per lui, scrittori si nasce.

Scrivere per King è l’atto che più si avvicina alla telepatia perché permette la connessione della mente del lettore e di quella dello scrittore nell’esatto momento della lettura.

 

In questo senso, scrivere è magia.

 

Ma questa magia non avviene in qualsiasi caso, con qualsiasi scritto. Bisogna, da scrittori, essere capaci di evocare nella mente del lettore l’esatta scena che si vuole descrivere.

Per fare questo, non solo bisogna essere creativi, ma serve soprattutto saper scrivere. 

Per questo, con tono da dura ammonizione, lo scrittore appunta:

 

“Potete avvicinarvi all’atto dello scrivere con nervosismo, eccitazione, speranza o anche disperazione, la sensazione cioè che non riuscirete mai a mettere sulla pagina quello che avete nella mente e nel cuore. [...] Mettetevici in qualsiasi modo, ma non alla leggera. [...] Questa non è una gara di popolarità, non sono i giochi olimpici della morale, non siamo in chiesa. Ma si tratta di scrivere, dannazione, non lavare la macchina o mettersi l’eyeliner. Se sapete prenderlo sul serio, abbiamo da fare insieme. Se non potete o volete, è ora che chiudiate il libro e vi dedichiate a qualcos’altro. Lavare la macchina, magari”.

 

On Writing, p. 101

 

Possedendo i basilari strumenti di ortografia, sintassi e conoscenza basilare di elementi di stile, si potrà accedere soltanto a quello che King chiama il livello dei cattivi scrittori. Perché sì, per King è sbagliato considerare chiunque si metta alla scrivania a destreggiarsi con carta e penna uno scrittore. A quel punto si è solo scrittori cattivi, improvvisati.

Da questa situazione è impossibile crescere, perché non basta conoscere la propria lingua e sapersi esprimere correttamente per essere scrittori, serve qualcosa in più. Serve la capacità di creare visioni e suscitare emozioni attraverso le parole e questa, per King, è una capacità innata.

Poi l’autore smorza un po’ l’algido tono del discorso e ammette che non esistono solo i grandi scrittori come Shakespeare, Faulkner e Yeats, ma che esistono anche menti intermedie, che creano storie buone e che riescono a sopravvivere grazie alla loro arte. Questa categoria viene chiamata quella degli scrittori competenti, ed è qui che King posiziona se stesso.

In sostanza, ammesso che uno possieda già una sua propensione alla scrittura “telepatica”,  può sperare di arrivare al livello di scrittore competente, ma nessuno mai può insegnare come diventare grandi.

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